Cassazione e interpretazione del contratto

Cassazione e interpretazione del contratto
12 Settembre 2016: Cassazione e interpretazione del contratto 12 Settembre 2016

Due sentenze della III sezione civile della Cassazione pressoché coeve (la n. 14432/2016 e la n. 14842/2016, pubblicate rispettivamente il 15 ed il 20.7.2016) hanno affrontato il tema dell’interpretazione del contratto, partendo dal comune presupposto per cui l’interpretazione “letterale” del testo contrattuale è il punto di partenza del percorso interpretativo, il cui punto d’arrivo è la ricostruzione della comune intenzione dei contraenti. Cass. n. 14842/2016 rammenta anzitutto quale sia l’oggetto del sindacato di legittimità in tema di interpretazione del contratto, in tal modo esplicitandone i limiti. Ricorda la Corte che l’individuazione della “comune intenzione delle parti” è “frutto di un indagine, e non di una mera lettura” del testo contrattuale e rappresenta perciò un “accertamento fattuale, riservato quindi istituzionalmente al giudice di merito”, ragion per cui il “sindacato di legittimità” al riguardo è limitato al controllo del “metodo dell’accertamento sotto il profilo della sua correttezza normativa”, e cioè alla verifica del “rispetto dei canoni di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta”. Non sono dunque ammissibili nel giudizio di cassazione le censure dirette a criticare il risultato dell’accertamento compiuto dal Giudice del merito, per ottenere dal Giudice di legittimità l’accoglimento di un’interpretazione del contratto diversa da accolta in sede di merito, ma solo quelle che investano i criteri interpretativi ivi adottati. Chiarito ciò, entrambe le decisioni hanno precisato che il testo contrattuale, pur rappresentando l’elemento centrale dell’attività interpretativa, non ne costituisca necessariamente l’unico oggetto. Dopo aver ricordato la precisa gerarchia  esistente fra i canoni ermeneutici dettati dal codice civile, per cui “i canoni strettamente interpretativi” dettati dagli artt. 1362 – 1363 c.c. “prevalgono su quelli interpretativi-integrativi” (artt. 1365 – 1371 c.c.), Cass. n. 14432/2016 osserva che “lo stesso art. 1362 cod..civ.”, pur attribuendo al “dato “testuale”… rilievo centrale”, prescrive all’interprete di non “limitarsi al senso letterale delle parole” e di ricostruire le “comune intenzione delle parti… anche tramite il loro “comportamento complessivo””. Insomma la “lettera”  del contratto “rappresenta la porta di ingresso della cognizione della quaestio voluntatis, che immette in un ambito composito in cui sinergicamente operano i vari canoni ermeneutici – per l’appunto, la lettera (il senso letterale), la connessione (il senso coordinato) e l’integrazione (il senso complessivo) – tutti legati da un rapporto di necessità ai fini dell’esperimento del procedimento interpretativo della norma contrattuale”. Corollario di tale metodo d’indagine è quello per cui un’eventuale “chiarezza” lessicale della singola norma contrattuale “consente di evitare ogni altra indagine interpretativa” solo se manifesti di per sé sola la “comune intenzione delle parti” ed appaia pienamente coerente con quest’ultima; non così quando invece “il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti”. Il senso del principio affermato dalla Corte sembra evidente: un testo contrattuale chiaro non rappresenta un limite per l’attività interpretativa quando esistano “indici rivelatori” – il comportamento anche posteriore delle parti – che manifestino una loro diversa “comune intenzione”. Non altrettanto sembra potersi dire per alcuni degli argomenti addotti per motivarlo, che paiono porre in ombra una verità elementare, ma ciò nondimeno importante, per cui, laddove non vi sia prova di “comportamenti delle parti” rilevanti ai fini interpretativi, un “dato letterale” chiaro è, per necessità logica, di per sé solo idoneo a ricostruire la loro comune volontà e non può essere sovvertito. Di tale constatazione si rinviene un riflesso, ad esempio, nell’assunto di un’altra recente sentenza (Cass. civ. n. 11533/2014), per cui “l'art. 1362 c.c., richiama il comportamento delle parti allo scopo di pervenire alla ricostruzione di quanto esse abbiano effettivamente voluto e disposto, non al fine di modificarne le disposizioni”.

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